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14/02/2022 10:44

3… 2… 1… scatta il count-down di una riforma sbagliata. Quale futuro attende il nostro amato futsal?

E’ inutile starlo a negare: il clamore che la notizia della riforma che la Divisione Calcio a 5 si starebbe apprestando a varare (è uno dei punti all’ordine del giorno in discussione nel Consiglio Direttivo convocato per le 17 di oggi) ha provocato nel mondo del futsal, è notevole e lo sbigottimento è la sensazione globale con il quale si misura la sconfinata perplessità che non solo gli addetti ai lavori provano davanti l’ormai prossima attuazione del progetto che rivoluzionerà, secondo gli estensori, il nostro calcio a 5. Che ridimensionerà pesantemente, secondo noi, la nostra disciplina.


E’ innegabile che il taglio drastico che la Divisione vuole apportare sul numero dei giocatori “non formati”, sarà una scure che abbatterà la qualità del futsal italiano. Questo almeno per quanto riguarda i club di Serie A: per capirne gli effetti basta andare proprio sul sito della Divisione Calcio a 5, prendere la lista di una qualsivoglia delle società militanti nella massima categoria e tirare le somme. Se parliamo poi delle squadre di vertice l’effetto si percepisce ancora maggiormente: ed è chiaramente devastante. 


Ma anche numerose società di A2, quelle che ovviamente hanno messo in piedi progetti importanti per il loro sviluppo, si verrebbero a trovare nelle condizioni di dover dare una sforbiciata ai loro programmi: il secondo colpo inferto dai dirigenti di piazzale Flaminio dopo l’insensata deroga alle promozioni dirette decisa a stagione avviata, ossia dopo che le società avevano pagato migliaia di euro iscrivendosi con una regola certa per poi ritrovarsi a giocare con una regola che non assicura niente sul fronte dei diritti.


Per chi si appresta a varare questa riforma si starebbe davanti a una svolta epocale. Epocale, certo, con effetti deleteri per la qualità del futsal italiano, che dagli albori degli Anni Duemila, da quando venne abbracciata la politica - chiamiamola così - dell’apertura delle frontiere per poter salire nei livelli di competitività in ambito internazionale, è stato permesso ai nostri club di ingaggiare un numero sempre crescente negli anni di giocatori provenienti da Oltreoceano, che effettivamente alzarono notevolmente il tasso del nostro futsal, come testimonia il primo successo europeo della Nazionale datato 2003. Ma quella, teniamolo ben presente, fu una svolta indirizzata a migliorare qualitativamente il calcio a 5 italiano e tutti i risultati che ne sono conseguiti sono stati il riscontro diretto: citiamo tra gli altri il secondo posto mondiale a Taipei e il bronzo sia in Brasile che in Thailandia, con culmine il bis continentale di Anversa nel 2014, che nei progetti istituzionali doveva rappresentare la pietra angolare di un ulteriore salto di qualità. Che invece non c’è stato. E questa è la data chiave di tutti i ragionamenti che occorre fare sul nostro futsal.


Le bastonate prese dalla Nazionale tra il 2016 ed Euro 2022, badate con tre Ct diversi, sono effettivamente il segnale che bisogna cambiare il modo di affrontare il problema, ma non certamente in questa maniera, credendo che rispedendo a casa decine e decine di giocatori “non formati” risolva la questione, e il famoso effetto della bacchetta magica che paragoniamo a questa riforma, riporti d’incanto il futsal italiano ai fasti di otto anni fa (ma guardando, però, a ritroso nel tempo). E al posto di queste decine di “non formati”, le società chi metteranno per tenere alto uno standard che permetta loro di partecipare a un campionato di Serie A mediamente un minimo competitivo? Il riformatore quali soluzioni proporrà da Piazzale Flaminio?


Si punterà sui talenti formati da un’attività giovanile che da sempre combatte con numeri tutt’altro che entusiasmanti, perennemente osteggiata dai vivai del calcio a undici che, chiaramente, dalle famiglie sono giudicati preferenziali anche nell’ottica di un’illusoria carriera professionistica, comunque dalle percentuali irrisorie di fronte all’imponenza del movimento?


Si punterà su tutti quei ragazzi che vedendo chiusi gli sbocchi nel calcio troveranno un’alternativa nel futsal, passando da una disciplina che si gioca su campi di 7000 metri quadrati ad un’altra con caratteristiche totalmente differenti già partendo dalle dimensioni dell’area di gioco? Con il pallone da prendere a calci e da spingere in rete che rappresenta l’unico elemento logicamente comparativo? E come vogliamo chiamarli questi nuovi interpreti? Gli esodati del calcio è il termine più appropriato.


Ma soprattutto quale prospettiva concreta potrà dare una riforma del genere a uno sport che resterà chiaramente chiuso nel suo ambito dilettantistico, soffocato dal suo stesso status? Si potrà mai permettere ad un giovane di qualità di scommettere sulla sua vita sportiva professionistica puntando su una disciplina che prevede solo rimborsi spesa? Davanti a quale scelta metteremmo chi tra futsal, studio o lavoro, sarà chiamato a prendere una decisione sul proprio futuro? Ma nemmeno a pensarci che si possa optare per la prima soluzione, che offre prospettive uguali a meno di niente? Ma soprattutto a chi metteremmo in mano la formazione dei nuovi talenti del futsal in una disciplina che fa perennemente i conti con le carenze di impianti e la mancanza di tecnici qualificati specifici?


Ecco, la formazione, l’altra parola chiave di una questione che ormai affonda le radici nella notte dei tempi. Come si può giudicare “formato” nel calcio a 5 chi viene dal calcio? Ed allora perchè restare sbalorditi quando noi diciamo che l’effetto tangibile di questa riforma sarà quello di riportare il nostro calcio a 5 indietro di un quarto di secolo, quando c’era il calcetto che si praticava sui primi campetti in erba sintetica e si giocava con il pallone con la camera d’aria? Perché questa è una delle proiezioni realistiche che offre la riforma dei “non formati”. In alternativa, prime squadre composte da tanti giovani, pescati (da chi ce l’ha) nell’Under 19, dei quali le schede della Divisione Calcio a 5 non conoscono nemmeno i volti, dal valore tecnico-agonistico tutto da certificare. Oppure tanti nuovi “calcettisti”, lodevoli e apprezzati dilettanti visti all’opera nei campionati regionali, magari in Serie B, attratti da chissà quale aspettativa?


E davanti a questo stato di cose si vuole pensare che si possa ancora mantenere il livello di concorrenza con scuole (leggi Brasile, Spagna e Portogallo) che fanno del futsal la base formativa dei calciatori, proprio l’esatto opposto di quello che accade in Italia?


3… 2… 1… I numeri del count-down scandito dalla riforma della Divisione. I numeri dell’inizio della fine del futsal?